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31/05/2012
TERREMOTO: La (dolorosa) riscoperta degli altri.
Il sisma che sta colpendo in maniera violenta e inaspettata l’Emilia Romagna, ci riconduce ad immagini note, forti e fissate saldamente nella memoria di ciascuno di noi, che, nell’arco della sua esistenza si è trovato a dover fronteggiare “il terremoto”, questa realtà anomala, questo sovvertimento di tutti i ritmi considerati “normali”. Ci si ritrova in pochi minuti tutti in strada, in auto, in luoghi considerati più sicuri; in piena notte, magari indossando il pigiama, o cmq in condizioni che, nella migliore delle ipotesi, sono del tutto inusuali rispetto all’immagine che siamo soliti mostrare: la “PAURA”, quello è il sentimento dominante di chi non si è trovato in immediato pericolo di vita, ma sa quello che potrebbe accadere, da un momento all’altro. Ferirsi, perdere persone care, la propria casa, ogni sicurezza; ritrovarsi essere umano “nomade” fra “nomadi” , come agli albori del tempo, indifeso e impotente di fronte alle forze oscure della natura, uomo fra gli uomini, simile fra simili...
Sì! E’ proprio in queste dolorose circostanze che ci si riconosce come appartenenti ad una stessa famiglia, quella dell’umanità, e ci si stringe assieme, si dialoga con lo sconosciuto vicino, che fino ad ieri, neanche si salutava, si condivide il cibo e lo spazio comune, ci si fa compagnia, ci si aiuta… Ma perché, per i più, questo succede solo durante l’accadimento di gravi calamità? Qual è, dunque, la nostra vera natura? Quella solita con cui portiamo avanti la maggior parte della nostra vita, oppure l’altra, quella solidale, quella che sostiene, che aiuta, che condivide con gli altri? E non è forse l’emergenza, la paura della morte, quello che vediamo, spaventati, accadere intorno a noi, in questi frangenti, che ci spinge prepotentemente, mai come in queste occasioni, verso gli altri? Ed ecco che come per magia ritorniamo a stringerci i nostri figli, a riunire, e a tenere insieme, se possibile, il nostro nucleo familiare, con forza, con coraggio, con amore e tutti fanno lo stesso. Non ci importa più se non siamo impeccabili, se vicino a noi c’è quella persona che non sopportiamo, noi siamo vivi e dobbiamo andare avanti in tutti i modi. Ci si adatta, si cercano soluzioni, per sé e per gli altri, si prega si canta, si discute, si veglia insieme; si scopre, insomma, forse per la prima volta, il vero significato dell’ espressione “cittadinanza attiva e partecipante”
Accade questo, ma osserviamo anche il rovescio della medaglia, purtroppo: chi approfitta di questi eventi luttuosi e destrutturanti, per speculare, rubare,truffare, maltrattare chi è preda di uno stato di fragilità psichica particolare, la cui causa, ovviamente, è l’insolita, improvvisa e temibile situazione, indotta dallo stato di calamità. E qui ritroviamo anche il filosofico assunto “ Homo, homini lupus”, ma questo non è strano, non è insolito, a questo siamo tristemente abituati.
Le calamità naturali, gli attentati, le guerre, invece, pur nella loro angosciante crudezza, hanno il potere di farci riscoprire, riavvicinare ai nostri simili, ci riaccendono il senso di valori da tempo trascurati, o peggio, dimenticati, quali la fratellanza, il coraggio, la solidarietà, la disponibilità, ma ci portano, anche, alla condivisione del dolore, della sofferenza e del profondo senso di empatia verso gli altri esseri umani, i nostri “fratelli” e “compagni”, di questo viaggio avventuroso, talvolta accidentato e inaspettato che è la vita.
Fonte: Napoleggiamo (www.napoleggiamo.it)