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11/06/2019
Tennis: Rafael Nadal, quando forza e talento si sposano per vincere
Quando nel giugno 2005 Rafael Nadal vinse il suo primo dei dodici successi al Roland Garros in molti capirono che quel ragazzone spagnolo, con i capelli lunghi, la maglietta smanicata, la camminata con gli occhi bassi ma l’espressione sempre cattiva non sarebbe stato una meteora nel panorama tennistico. Ma in pochi avrebbero immaginato che Nadal avrebbe conquistato così tanti successi tanto da far mettere in discussione su chi fosse stato il miglior giocatore di sempre. A questo quesito non è elegante rispondere anche perché nelle grandi sfide che hanno caratterizzato questo sport da Borg a McEnroe da Edberg e Becker difficilmente chi si schierava cambiava poi opinione e anche in questa lunghissima sfida tra Nadal e Federer con Djokovic, che non è assolutamente un comprimario ma sicuramente un attore protagonista, si potranno trovare ragioni che fanno preferire uno ad un altro.
Ma rimaniamo su Nadal, fresco delle sue 33 primavere, non accenna ad avere segni di cedimento fisico e palesa una condizione atletica senza limiti. Ma solo un osservatore poco attento e non troppo incline a questo sport potrebbe pensare che Nadal sia solo muscoli e grinta e che al primo accenno di stempiature e rotolini di grasso possa appendere la racchetta al chiodo. Perché se è vero che il braccio sinistro dello spagnolo è impressionante per muscoli (e avendolo visto a pochi centimetri posso confermare che è così) quando scende in campo Rafa non fa solo sfoggio di potenza e urla intimidatorie. Non lascia nulla al caso, ogni punto è giocato secondo uno schema ben preciso: riduce al minimo le possibilità di errore, colpisce di diritto con un top la cui traiettoria fa arretrare l’avversario di metri e lo fa con una costanza che la logica conseguenza è la vittoria dello scambio. Quando serve da sinistra, che in genere rappresentano i punti più importanti del game, lo fa sempre ad uscire sfruttando la traiettoria favorevole di chi è mancino costringendo il rivale ad allargarsi quasi fin dentro le tribune per provare a rispondere.
Forza, strategia ma anche tecnica ad altissimi livelli: a rete, la zona di campo dove molti potrebbero pensare che Nadal sia meno a suo agio, lo abbiamo visto fare dei ricami capaci solo a chi possiede una mano educata. E poi non si può non descrivere il suo rituale quando sta per servire: è una serie infinita di piccole abitudini con la mano destra che accarezza i capelli, il naso ed il viso sempre nello stesso modo e sempre prima di ogni punto; un’attenzione maniacale che denota quanto, anche sotto il profilo del rituale, nulla sia lasciato al caso. Nato a Manacor sull’isola di Maiorca e nipote di Miguel Angel Nadal, difensore della nazionale spagnola e del Barcellona club che però non lo ha mai conquistato. E’ ormai noto a tutti il suo tifo per il Real Madrid che però non vuole mai si possa confondere con il tennis. Alcuni anni fa durante una conferenza stampa a Roma nella settimana in cui si sarebbe disputata la finale di Champions League tra le due squadre di Madrid ricordo che diversi giornalisti abbozzarono domande di calcio: alla terza consecutiva lui si alzò e andò via infastidito, “ visto che non possiamo parlare di tennis è meglio che vada via” le sue parole stizzite prima di lasciare la sala stampa. Nel circuito tutti lo temono e lo rispettano, c’è chi gli dà del permaloso (un termine che lui non ha mai smentito e che a sua detta “non mi offende”). I rapporti con Djokovic sono quasi inesistenti, sembra palese che non si stiano simpatici, cosa diversa rispetto al rapporto con Federer, con i due che spesso si sono scambiati frasi non solo di circostanza. Una carriera che non sembra avere fine e che in qualche modo è legata anche all’Italia e non solo perché ha trionfato sui campi del Foro Italico per nove volte: in pochi sanno che il primo successo di Nadal è arrivato al challenger di Barletta nel 2003 non ancora maggiorenne.
E sempre in tema italiano invece si annovera una nota stonata perché, contro Fabio Fognini, ha perso la sua unica partita avanti di due set a New York nel 2015, il suo anno peggiore. E’ evidente che il suo palmares parli per lui: 12 titoli dello slam sui 18 complessivi spostano di molto l’attenzione sulle sue spiccate attitudini sulla amata terra rossa ma la sua lunga e vincente carriera gli ha regalato anche due Wimbledon (con il successo su Federer del 2008 passato alla storia con lo stesso risalto dell’epica finale del 1980 tra Borg e McEnroe, magari faranno anche qui un film tra qualche anno), tre titoli a New York e uno a Melbourne oltre a un titolo olimpico. Manca solo il Master di fine anno per coronare con l’ultima gemma la sua sfavillante carriera, poi a quel ragazzone di Manacor dalla camminata da duro e con l’aria cattiva non mancherà più nulla per iscrivere il suo nome come il più forte di sempre, Federer permettendo…
Antonio Procopio