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Napoli: Al Mercadante in scena - Ferito a Morte -

24/04/2012

Napoli: Al Mercadante in scena - Ferito a Morte -

E’ davvero molto fedele all’omonimo romanzo da cui è tratto, scritto oltre mezzo secolo fa dal “nostro” grande Raffaele La Capria, che gli valse il premio Strega: un libro popolare e discusso, originale e modernissimo, che esce decisamente fuori dagli schemi usuali di scrittura dell’epoca.
“Il suo libro mi ha incantato”, scrisse all’Autore il primo editore, Bompiani, e può solo definirsi solo “INCANTO”, la sensazione che provoca la lettura del testo originale, ma anche assistere a questo splendido lavoro teatrale, ri-lettura dello stesso, interpretato magistralmente da Mariano Rigillo insieme a tanti altri: Elena Cepollaro, Andrea De Goyzueta, Antonio Marfella, Alfonso Postiglione, Fabio Rossi e Anna Teresa Rossini.

Fissa, la scena: fissa, scura e spoglia. Il mare, è una tinozza, posta lì, accanto ad una semplice passerella che, non si sa per quale magia, riesce a far pensare proprio ad un pontile. Poche elementari strutture, qualche sedia a sdraio e tanti guizzi di luce, sanno creare quell’atmosfera onirica, propria del romanzo.

Dalla penombra, emergono i compagni di tutta una vita, avvicendandosi sul palcoscenico per evocare antichi amori, immagini e ragionamenti, in una sequenza di “flashes” che non hanno alcun ordine temporale, ma il solo nesso logico creato dai pensieri del Protagonista, proprio come nel libro. Ne vien fuori uno spietato ritratto della borghesia napoletana dell’epoca, superficiale e vuota, persa nella noia di lunghe ore trascorse al Circolo Nautico, tra un pettegolezzo e una partita a carte, quasi immobile nel suo meschino provincialismo mentre, intorno, la storia va avanti: ce lo dicono i racconti che evocano una morte, o lo scoppio di una bomba, durante la guerra, eventi gravi, ma inquadrati quasi sullo sfondo, insignificanti turbative a queste giornate tutte ugualmente inutili. E non stupisce il fatto che non sia stata nemmeno percepita l’assenza del Protagonista, emigrato volontariamente a Roma da oltre tre anni proprio per sfuggire a tutto ciò.

Eppure, in una visione così pessimistica, quello che si percepisce nettamente, sia nel romanzo che nella sua rilettura teatrale, è il peso della nostalgia: nostalgia di un’epoca che non è più, a cavallo tra la guerra e le vaghe speranze del dopoguerra; ma, soprattutto, nostalgia di un’età giovanile, libera da impegni e da responsabilità, che consente di svegliarsi con comodo, crogiolandosi nel letto ad ammirare, sulle pareti, il gioco della luce, riflessa dal mare che circonda Palazzo Donn’Anna. Su tutto, l’immagine fuori dal tempo di questa città unica ed incredibile, che riesce a coniugare insieme amore e odio, dalla quale vorresti fuggire ma che ti richiama a sé come una sirena: Napoli.

Maria Continisio
 

 

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